Domani è l’otto marzo, data in cui si celebra la “Giornata internazionale della donna”, e il direttore della Società della Salute della Lunigiana, Rosanna Vallelonga, interviene per ricordare la strada fatta dalle donne, ma anche per invitare a non abbassare la guardia sulla violenza di genere.

“C’è un filo rosso che ancora lega le origini della “Giornata internazionale della donna” ai giorni nostri – spiega Rosanna Vallelonga – ed è costituito dalla violenza.

Dal rogo in cui persero la vita 123 donne operaie il 25 marzo 1911 nella fabbrica Triangle a New York alla violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili sempre a New York nel 1857, l’Occidente è cambiato totalmente anche grazie alle lotte per l’emancipazione delle donne, che hanno portato un benefico rimescolamento dei ruoli tradizionali assegnati dalla società e sono riuscite ad occupare posti, anche di potere, impensabili fino a soltanto due secoli fa.

A non cambiare, purtroppo, è un pensiero ancora radicato in troppi uomini che vedono la donna come una loro proprietà.

Da qui la diffusione dei casi di quello che è stato ribattezzato dai media “femminicidio”, che altro non è che l’omicidio di donne ad opera di uomini.

Una concezione tribale dei rapporti umani, basata sulla sopraffazione di chi si sente più forte sul più debole o presunto tale, che sta mettendo a dura prova anche le conquiste femminili nelle nostre società, costate decenni di battaglie e mobilitazioni dell’altra metà del cielo.

E’ per questo, proprio perché dobbiamo essere vigili – conclude il direttore della SdS Lunigiana – nel preservare i diritti conquistati dalle nostre madri e dalle nostre nonne, che il mio augurio alle donne è il più sentito possibile”.

E a cercare di dare aiuto e assistenza, attraverso un supporto concreto, alle donne vittime di violenza e’ proprio la SdS Lunigiana, che gestisce il Centro Donna Lunigiana, la cui utenza è, nella maggioranza, di nazionalità italiana, anche se ci sono stati soggetti di altra provenienza che, pertanto, giustificano la richiesta di un valido servizio di mediazione culturale per la globale comprensione delle problematiche e per ingenerare fiducia nelle fruitrici.

La fascia di età  presentatasi va dai 30 ai 50 anni, dato che sottolinea la capacità per le donne più giovani di avere la forza per riuscire ad affrontare un problema: supportate psicologicamente dalla presenza del lavoro si sentono più autonome, quindi in grado di compiere l’impegnativo passo che è quello di decidere di ricorrere ad una tutela, rivolgendosi, quindi, al Centro. Da quest’analisi si riscontra, invece, che le donne più anziane non riescono a trovare questo coraggio, spesso perchè schiacciate dalla paura, dai sensi di colpa, dalla rassegnazione e perchè il servizio non le ha adeguatamente raggiunte.

Le modalità di approccio al Centro sono state per passaparola o tramite indirizzo dell’assistente sociale e questo ha determinato una collaborazione puntuale con i servizi sociali di riferimento, con l’intento preciso di creare rete e, quindi, protezione attorno alla persona richiedente aiuto.

Le problematiche sollevate sono quasi sempre inerenti alla sfera familiare, sia che riguardino la separazione o il mantenimento dei figli o le violenze domestiche.

Venendo ai numeri, rispetto alla prima annualità di riferimento (1° luglio 2009 – 30 giugno 2010), il numero di accessi al Centro Donna Lunigiana è aumentato complessivamente del 41,8%. Fino a giugno 2012 la percentuale di donne per cittadinanza (italiana o straniera) non aveva subito scostamenti significativi nel corso degli anni, mentre ora questa proporzione è cambiata: l’aumento del numero di accessi al Centro è, infatti, frutto di un maggior numero di donne italiane che vi si sono rivolte, mentre il numero di non autoctone rimane pressoché invariato. Per quanto concerne le donne straniere, quasi il 70% ha meno di 40 anni, quasi il 40% sta tra i 30 e i 39 anni; più della metà è sposata. La situazione socio – economica di queste utenti è generalmente molto fragile: solo il 37% di loro è stabilmente occupata.

Il 42,7% delle donne straniere convive e non ha un proprio reddito fisso. Una situazione di dipendenza economica molto frequente, a cui si aggiunge un 19,6% di donne straniere senza reddito che non convive col partner.

Invece, per quanto riguarda la donne italiane, le utenti autoctone si concentrano tra i 30 e i 49 anni e si registra un leggero aumento delle donne più anziane. Nel 41,8% dei casi sono sposate e quasi la metà di loro ha un’occupazione stabile.

Se analizziamo la situazione familiare e il reddito, vediamo come non ci sia una categoria tipica: il 29,6% convive ed ha un proprio reddito, mentre il 23,3% abita con il partner, ma non ha una propria indipendenza economica.

Si tratta di donne con un buon livello di istruzione: un dato che si conferma negli anni e che registra un aumento delle donne con almeno il diploma superiore, così come aumentano anche le libere professioniste. Nell’ultimo periodo si registra anche una significativa crescita delle donne con un’istruzione media o elevata.

Ma qual è Il tipo di violenza subita? Le analisi condotte in questi anni dimostrano che è difficile separare i vari tipi di violenza di cui le donne dichiarano di essere vittime: la maggior parte di loro, infatti, ha subito più di un tipo di sopruso. Basti pensare, a tal proposito, che la violenza psicologica e la violenza economica sono forme di sopraffazione che spesso le vittime non riconoscono nell’immediato, ma che sono insite nelle altre forme di violenza.

 

Aulla, 7 marzo 2018

L’ufficio stampa SdS Lunigiana